Carattere ribelle e avventuroso, fuggì dal seminario ove lo avevano mandato i genitori e, fatti gli studi all'Apollinare, frequentò con discontinuità l'Istituto di Belle Arti di Roma, completando poi la sua formazione artistica nei quotidiani contatti con il Ferraci, il Coleman ed il Carlandi assieme ai quali frequentava l'Omnibus del Caffè Greco, sempre al centro dei convegni politico-artistici-letterari e nell'Accademia di Giggi. “Un poeta nè bianco nè nero”, scriveva di lui la Cronaca Bizantina, un “mattacchione pieno zeppo di ingegno, che dipinge teste di somaro, e abbaja”, così anticipando quella “Testa d'asino in bronzo, di Cesare Pascarella, scultore romano, via della Scrofa n. 92” che modellerà per l'Esposizione Nazionale di Bologna del 1888. Le sue pur buone qualità di pittore, ed in special modo di caricaturista, furono ben presto sopraffatte dalle altrettante buone qualità di poeta dialettale e il successo che ebbe come scrittore offuscò, senza tuttavia disconoscere, i valori della sua arte pittorica. Lui stesso anzi cercò di fondere e compendiare tali predisposizioni accompagnando spesso i suoi sonetti con schizzi o scenette umoristiche, come fece con le illustrazioni al Morto de campagna e, negli ultimi anni di vita, confessò che “i suoi disegni erano studi dei modelli dei suoi sonetti; ed in molti casi egli aveva scritto le parole che il modello pronunziava mentre lui lo ritraeva”. Fu uno dei più forti animalisti del gruppo dei XXV, un acuto e sensibile “ritrattista” degli animali, specialmente i più umili (asinelli). Trattò anche figure di popolani (i famosi “dormienti”) ed il paesaggio in validi studi dai quali affiora l'influenza costiana, “che forse non sono che vuote spoglie, crisalidi di poesie avvizzite nel guscio”. Dalle sue opere, a pastello, acquarello e sanguigna, mentre traspare prepotente una tenace ricerca della forma tesa a rendere, con il disegno, il soggetto così come è visto ed interpretato dall'anima del pittore in chiave idilliaca, se ne ricava invece una voluta trascuratezza del colore e delle tonalità, senza per questo doverlo considerare un verista in senso assoluto, in quanto “si serve del vero come della materia prima e greggia che va elaborata e assimilata, e non sdegna all'occorrenza di correggere la realtà esteriore”, con una vena immediata e naturale come facile ed arguto era il suo linguaggio poetico.
Prof. Renato Mammucari
BIBLIOGRAFIA / ESPOSIZIONI
- C. Pascarella, Il manichino, disegni dell'autore, incisioni di C. Ballarini, Roma 1897;
- C. Montani, Pascarella caricaturista, in “Rassegna d'Arte”, 1921;
- A. Jandolo, C. Pascarella, Roma 1940;
- R. Mammucari, “I XXV” della Campagna romana, Edizioni Tra 8 & 9, 1990.
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